Era il 2014, primi di Settembre, le cose non andavano proprio bene, ma il peggio era passato, e Penang sotto il sole rubato alla stagione delle piogge era il posto più incantevole per cui avessi mai camminato.
Dormivo in un ex laboratorio ai margini della città vecchia, lungo una strada di case basse che gli hippie - anni prima - avevano dedicato all’amore e decorato di conseguenza. La mattina uscivo presto per godere il silenzio dei quartieri ancora assonnati, il canto degli uccelli nel parco, e poi cambiarlo con la frenesia pacata, tutta orientale, del mercato. Tutto aveva un colore, un profumo, una voce, che cambiavano ad ogni e passo tutto diventava nuovo.
In fondo al mercato attraversavo il Forte, stabilito secoli prima da un inglese che poi disertò per amore, e andavo a sedermi poco più in là, su una banchina del porto affacciata sullo stretto. Di fronte a me Butterworth, dove due mesi prima, vita da buttare, cuore a pezzi, era iniziato il viaggio che dura ancora adesso, pure se oggi vita e cuore sono assai diversi.
Ogni mattina, sempre per caso, sempre a questo punto, dalle poche canzoni che riuscivo a sentire saltava fuori “Next Year” dei Foo Fighters, dando fiato ai sospiri e oceani di malinconia alla mia voglia di tornare.
Non tornai quello stesso anno, ne l’anno dopo, ma quello dopo ancora. Oltre che a riabbracciare i miei, servì a ricordarmi che i sogni finiscono con l’alba, e che una volta partiti non si torna mai davvero, non si torna più.